Alla fine del 2018, in Olanda, si respirava un’aria decadente. Un mix di disperazione e mal di vivere che si possono assorbire osservando un dipinto di Vincent Van Gogh.
Certo, in questo caso, per noi italiani risulta essere naturale trovare empatia: anche gli Oranje non riuscirono a staccare il pass per il mondiale in Russia.
La Federazione olandese richiamò per la terza volta Louis Van Gaal. Dopo una lunga carriera costellata di grandi successi e dopo aver combattuto e vinto il cancro alla prostata, il ct settantunenne accettò l’incarico senza pensarci due volte.
Troppo forte l’orgoglio e l’onore per la madrepatria per starsene a casa, in serenità. Accetta, sapendo che potrebbe essere il suo ultimo incarico, l’ultimo viaggio al timone di una squadra di calcio.
La missione principale è: ricostruire. Ripartendo dal basso, facendo crescere nidiate di cuccioli promettenti, sbocciati nei principali campionati europei e, finalmente, in grado di eccellere anche in nazionale.
Dunque, sono trascorsi tre anni da quel momento difficile del calcio olandese eppure l’Olanda venerdì affronterà l’Argentina nei quarti di finale. Di nuovo loro, coloro che decretarono, in semifinale, la fine dell’avventura brasiliana nel 2014. In quella notte il destino dei rigori fece abbassare la testa a Van Gaal e i suoi calciatori.
Nel 2014, gli Oranje non disponevano di stelle in difesa come oggi, ma con Arjen Robben, Wesley Sneijder e Robin Van Persie, avevano giocatori di assoluta classe mondiale in grado di risolvere la partita in qualsiasi momento.
Ora sembra piuttosto il contrario e a dimostrarlo sono le parole di Wesley Sneijder: «Se vinci è tutto positivo, ma se devo essere sincero non ho visto giocare una squadra che possa essere il prossimo campione del mondo. Non ho visto quella qualità che ha sempre caratterizzato l’Olanda».
Da mesi, anzi da anni, la stampa olandese e i tifosi rimproverano al ct un gioco difensivo, distante dai principi tattici che hanno fatto grande la scuola olandese. Dunque, una vera e propria guerra di idealismo che esisteva già otto anni fa, durante il mondiale brasiliano.
Van Gaal e la difesa a tre, un binomio vincente
Allora, Van Gaal venne aspramente criticato per la sua difesa a tre che diventava a cinque in fase di non possesso. Anche ora, in Qatar gli Oranje si schierano con lo stesso sistema di gioco: Van Dijk guida il trio dei centrali, De Jong è l’organizzatore del centrocampo, Blind e Dumfries gli esterni e in avanti Gakpo e Depay che si muovono alternando la profondità e i movimenti a legare i reparti.
I risultati finora sono stati buoni: le avversarie battute – Senegal, Qatar e Stati Uniti – non appartenevano all’élite e il pareggio contro l’Ecuador ha alimentato la sensazione che l’Olanda non sia una reale contender per il titolo.
Nonostante questo clima di sfiducia e qualcosa che manca effettivamente a livello tecnico, la squadra di Van Gaal ha mostrato di essere capace di costruire delle azioni davvero belle, non solo efficaci.
Tuttavia, la vera forza tattica dell’Olanda è il manipolare costantemente il flusso e il ritmo del gioco: vogliono accelerare quando serve e mettere a disposizione i propri talenti nei momenti opportuni, senza bruciare troppe energie.
Riprendendo la tesi sulla mancanza di giocatori di qualità e di classe mondiale, Van Gaal nel giugno scorso ha risposto con la sua filosofia: «Il mondiale? Vince la squadra più forte, non chi ha campioni».
Ponendo la profondità di questo sunto di fronte alla storia dei mondiali, la maggior parte delle volte la competizione è stata vinta sempre da squadre con un gruppo coeso e compatto. E il ct. è molto sicuro: «Non ho mai avuto un gruppo così fantastico!».
I Paesi Bassi non hanno mai vinto il mondiale, nonostante abbiano raggiunto per tre volte la finale del torneo. Van Gaal ha vinto tanto durante il suo percorso calcistico, non solo in patria, e l’onore di scrivere la storia del suo Paese è così grande da voler vivere “La notte stellata” del pittore più famoso d’Olanda.