“Questo sono i calciatori. Sono uomini che giocano con la testa, ma soprattutto con il cuore”
Ferenc Puskas
Tommaso ha le braccia al cielo. Corre e guarda lassù. Ha segnato un gol, di sinistro, proprio là dove il portiere non poteva arrivare. I suoi grandi occhi blu sono umidi affastellati dal sudore e dalle lacrime. Ha segnato un gol, il suo primo gol, ma è come se avesse scalato una montagna. Tommaso ha fatto gol. Corre con le braccia al cielo e scorre la sua storia. Ripensa ai campi polverosi e spelacchiati di provincia, ai sacrifici, alla fatica. Tommaso pensa al suo papà, a quando per mano, da bambino, lo accompagnava all’allenamento. Con i suoi grandi occhi blu lo cerca lassù, tra le stelle. “Questo è per te papà”.
Tommaso Augello nasce a Milano il 30 agosto del 1994. È un ragazzino con dei grandi occhi blu. A sei anni si presenta accompagnato dal papà, in via Don Giovanni Calabria, sede del Cimiano calcio. Vuole giocare a pallone.
Abita a trecento metri dal campo sportivo del Cimiano, la squadra del suo quartiere. Tutti i giorni, per undici anni, corre con la bicicletta al campo di allenamento. Si allena, si sbuccia le ginocchia, si sporca di fango e di terra perché ha un sogno: quello di fare il calciatore, come Paolo Maldini, il suo idolo. Inizia a giocare come attaccante, e, successivamente, mezzala. Cimiano è più di una scuola calcio, una squadra, è una famiglia. Tommaso ha talento, ha cuore, polmoni e gamba, ma è gracile. Gli osservatori del Milan, di casa al Cimiano, non lo scelgono mai. Non demorde. Non è strutturato, non ha il fisico, ma possiede altre qualità, perché per fare il calciatore oltre al fisico c’è bisogno di altro. È determinato, umile, caparbio, ha grinta e passione.
Tommaso non è più un bambino, è un ragazzo di diciassette anni. I tempi del Cimiano, delle vittorie sui campetti di periferia, degli osservatori del Milan che non credevano in lui, sono solo un ricordo. Vuole fare il calciatore, ma a diciassette anni devi trovare una squadra, qualcuno che crede in te. Nel 2011, si trasferisce all’Associazione Ponte San Pietro-Isola, il Pontisola squadra bergamasca, in Serie D. Fare il calciatore è sacrificio. Tutte le mattine si sveglia alle sette e va a scuola. Finita la scuola va di corsa agli allenamenti. Il campo non è più a trecento metri. È più lontano. Non ha ancora la patente. È papà, il suo primo sostenitore, il suo primo tifoso che lo accompagna all’allenamento. Sono viaggi di speranza, di illusioni, di progetti. Sono viaggi di un padre e di un figlio. Finiti gli allenamenti, Tommaso torna a casa e si mette a studiare sui libri. Sì, sui libri, perché Tommaso vuole prendere il diploma, vuole iscriversi all’Università, perché la testa è più importante del talento, perché il calcio è presente, potrebbe essere futuro, ma non tutta la vita. Preso il diploma, si iscrive alla facoltà di Scienze sociali per la globalizzazione. Dà esami e gioca a pallone. Corre sui campi impervi e ruvidi dei dilettanti del calcio italiano. Il dilettantismo è una vera e propria palestra di vita. In tre anni, la Serie D lo trasforma. Diventa uomo, perché se vuoi fare il calciatore devi crescere in fretta. Da mezzala diventa terzino, come Paolo Maldini, il suo idolo. A suon di corse, traversoni e cross rincorre il suo sogno. Si vede che è diverso, che è speciale. Ivan Del Prato, l’allenatore del Pontisola non ha dubbi: “Tommy, tu con questa categoria non centri nulla. Devi andare assolutamente tra i professionisti”
Nel 2014, si trasferisce a Gorgonzola, all’ A.S. Giana Erminio, in Serie C, la squadra che prende il nome da un giovane soldato caduto durante la “Grande guerra”. Ad aspettarlo c’è Cesare Albè non un semplice allenatore, un addestratore tecnico. Cesare Albè è un’istituzione a Gorgonzola ed è colui che ha voluto Tommaso. Da uomo di calcio, sa che è destinato a farcela. Ha visto tanti giovani perdersi, mollare, ma crede in quel ragazzo modesto, ma determinato. Sa che ha la testa e il cuore per scalare la vetta. Tra Tommaso e Cesare c’è un legame particolare. No, non è di sangue, ma è come se lo fosse. Tommaso è umile. Ascolta i consigli. Tommaso ha la testa. Migliora tatticamente e tecnicamente, con il sudore e la fatica, perché se vuoi fare il calciatore ti devi impegnare, devi dare tutto te stesso. Apprende che il calcio è semplicità, stravolge il suo modo di pensare al gioco. In Serie C, nelle tre stagioni a Gorgonzola, cresce ulteriormente, dimostra, ancora una volta, che è destinato ad altri palcoscenici. Il futuro è altrove, è in Serie B. Cesare Albè, prima di lasciarlo andare, gli sussurra un ultimo consiglio: “Azzera tutto. Ora è una nuova esperienza per te e non aver paura. Tu puoi farcela”.
Il direttore sportivo dello Spezia, Gianluca Andrissi crede nelle capacità di quel ragazzo dai grandi occhi blu. Nel 2017, si guadagna la sua opportunità in Serie B. Agli inizi, allo Spezia, non gioca. È tutto complicato, c’è poco spazio. Tommaso vacilla. Vuole andar via. Vuole tornare in Serie C. Andrissi lo convince a restare, gli consiglia di pazientare. Arriverà il suo momento. È inevitabile per chi lo merita, per chi è bravo. “Carpe diem” Tommaso, perché se vuoi fare il calciatore devi saper cogliere l’attimo. Ha volontà, non demorde, non si arrende, aspetta la sua occasione. Trova sempre più spazio. Torna a giocare con continuità, diventa titolare. Corre, crossa, difende e attacca. Tommaso è bravo, è speciale. “Quando ero in D sognavo di fare una partita in C e quando ero in C sognavo di farla in B. Ora il mio sogno è quello di giocare una partita in Serie A”. Sì, non resta che la Serie A.
Dopo due stagioni allo Spezia, si trasferisce alla Sampdoria. Tommaso è in Serie A. Ha scalato tutte le categorie, ha scalato una montagna. Il 4 novembre del 2019, a Ferrara, si gioca Spal-Sampdoria. Tommaso è in panchina. L’allenatore Claudio Ranieri, gli fa un cenno. Gli dice poche parole: “Mettiti lì. Gioca esterno alto”. Non esita ed entra in campo. Ha faticato, ha sudato, si è sacrificato per quell’esordio. Lo ha desiderato fin da bambino. Corre, crossa, difende e attacca come faceva in Serie D, C e B. Aggredisce la sfera, l’erba e gli avversari. Aggredisce il suo sogno.
A quella partita ne seguiranno altre. Con fermezza, si appropria della fascia sinistra e diventa titolare. Il 17 ottobre del 2020, a Genova, si gioca Sampdoria-Lazio. C’è un calcio d’angolo. Il pallone schizza sulla schiena di compagni e avversari. Tommaso è al limite dell’area di rigore. La palla gli cade sul sinistro. Si coordina, la prende un po’ d’esterno, la traiettoria è beffarda, inafferrabile. È gol, il suo primo gol in Serie A.
Tommaso corre. Ha le braccia al cielo. La sua è un’esultanza essenziale, semplice come quelle di una volta. Tommaso Augello, il bambino gracile che nessuno sceglieva, il ragazzino precocemente diventato uomo sui campi di provincia, ha fatto gol. I suoi grandi occhi blu si alzano al cielo e pensa al suo primo tifoso, al suo papà che non c’è più.
Papà, ce l’ho fatta. Papà, questo gol è per te. Papà, sono un calciatore.