Quando l’Inghilterra rivoluzionò il sistema calcistico

L’ottimo comportamento a “Italia 90”, la riammissione alle coppe europee e la ristrutturazione degli
stadi secondo le direttive Taylor furono i segnali della rinascita del football inglese. Ma soprattutto
grazie alle nuove strutture che, nel rispetto del fascino e della storia, potevano garantire un futuro:
stadi ordinati, facilità di accesso, posti rigorosamente a sedere (ancora tutt’oggi è vietato stare in
piedi), il controllo e la punizione verso i colpevoli di atti violenti. Si trattava, semplicemente, di
mettere insieme queste nuove opportunità creando qualcosa di rivoluzionario.
Tutto ebbe inizio nel 1988, durante un pranzo in un ristorante giapponese di gran moda a due passi
di Buckingham Palace. Tra un piatto di sushi e l’altro, due vecchi amici stavano piacevolmente
discutendo delle possibili strategie per segnare il futuro del calcio inglese. Il primo è Greg Dyke,
direttore esecutivo della London Weekend Television (Lwt) nonché presidente di Itv Sport, un
potente manager televisivo cui il football piace almeno quanto fare gli affari. L’altro è David Dein,
all’epoca consigliere e azionista dell’Arsenal. Non c’è bisogno di sapere le parole esatte di quella
conversazione ma il succo del discorso è intuibile. «Caro Greg, il calcio in Inghilterra è un gigante
che dorme. Siamo distantissimi dal modello delle Leghe professionistiche americane, soprattutto la
Nba e la Nfl, e dai profitti che sono in grado di generare». «Mio nobile amico, come presidente di
Itv potrei farvi una proposta: la trasmissione delle partite dei cinque club storicamente più forti della
Football League ( FL, l’antenata Premier League) offrendo di acquisire i diritti televisivi
separatamente dalle altre squadre». Non era una buona concezione perché una lega esiste nella sua
compattezza e non privilegiando solamente una piccola parte di essa. Ma era comunque un’idea su
cui lavorare, soprattutto segretamente.

I dirigenti dei cinque club più potenti (oltre all’Arsenal, c’erano il Manchester United, il Liverpool,
l’Everton e il Tottenham) cominciarono a incontrarsi frequentemente. L’obiettivo che si stava
profilando era la creazione di una nuova lega d’èlite, staccata dalle altre tre divisioni che
componevano la Football League. La nuova lega avrebbe trattato direttamente con le tv i diritti
televisivi senza più dividerli con le serie inferiori e, soprattutto, senza l’intervento della Football
Association (FA). È un intreccio di dinamiche a cui noi contemporanei non sembra una novità. Non
la si trova un’analogia? Dai, non possiamo non pensare al progetto “Superleague”. Ma questa è
un’altra storia, torniamo ai trent’anni fa.
Il 17 luglio 1991 viene firmato dai club fondatori il documento che stabiliva i principi della
nascente lega, indipendente dalla FL e dalla FA, avendo la libertà di trattare gli accordi con gli
sponsor e con le televisioni. Il 20 febbraio 1992 tutti i club del campionato annunciarono le loro
dimissioni, in massa, dalla FL. Tre mesi dopo nacque la Premier League.
L’unica concessione fu quella di aggiungere l’acronimo FA, su richiesta appunto della Football
Association. Non si trattava di un atto di cortesia bensì una garanzia per continuare un’attività in
armonia, soprattutto per rispettare gli spazi dovuti alle nazionali.
Quale fu la prima azione compiuta? Oggi probabilmente non ci facciamo nemmeno caso alle varie
“formulette” che appaiono davanti ai nomi delle leghe. Nel 1993 la Carling, multinazionale della
birra, pagò 12 milioni di sterline a stagione per quattro anni per piazzare il proprio nome in una
dicitura che diventò “Fa Curling Premier League”.
In termini economici però la parte sostanziosa è legata ai diritti televisivi. Alla fine degli anni
Ottanta i club di prima divisione ricevevano una cifra intorno ai 600.000 sterline a testa. Con la
Premier la somma prima si decuplica e in breve si centuplica, secondo uno schema 50-25-25: ossia,
una metà divisa equamente fra tutti i club, il 25 % secondo il piazzamento in classifica e l’ultimo
quarto in base al numero dei passaggi in tv. A questo si aggiungono i ricavi derivati dall’acquisto dei
diritti del campionato dalle emittenti internazionali, cifre mostruose soprattutto se si pensa al
presente, equamente divisi tra tutte le partecipanti. Un sistema che garantisce così un equilibrio tra i
club più prestigiosi e quelli meno celebri. Per rendere ancora più appetibili alle emittenti straniere,
viene sacrificata la storica contemporaneità delle partite. Addio alla plurisecolare tradizione delle tre
del sabato pomeriggio, addio alla consueta espressione calcistica: «all’ora del tè sapremo chi ha
vinto». Nasce il “Monday Night”, gara del lunedì, sul modello della Nfl americana. Arriva la partita
delle 12.30 di sabato, soprattutto per la diretta nel continente asiatico: il mezzogiorno di Greenwich
corrisponde al prime time televisivo di quel continente, dove la Premier per distacco è il campionato
più visto del mondo. Se fino ad allora la Bbc trasmetteva solo le sfide della nazionale, di FA Cup e
delle coppe europee, con l’arrivo del nuovo format è il campionato l’obiettivo principale.
Siccome quest’idea fu sviluppata dall’uomo di Itv, ne consegue che sarebbe stata quest’emittente ad aggiudicarsi i diritti. Ma se Greg Dyke avesse saputo la fine di questa storia mentre stava gustando
le prelibatezze giapponesi, molto probabilmente gli sarebbero rimaste sullo stomaco.
La mattina del 18 maggio 1992, Itv consegna una busta con la proposta di 262 milioni di sterline
totali per trasmettere trenta partite in diretta. Rick Parry, appena nominato responsabile esecutivo
della Premier chiede di fare una telefonata. Il numero digitato era quello di Sam Chisholm,
amministratore delegato di Sky Sports, il quale non si indignò di svegliare, nel cuore della notte
newyorkese, Rupert Murdoch. Poche parole bastarono per ottenere dal tycoon austrialiano,
proprietario dell’emittente satellitare, l’autorizzazione di migliorare l’offerta di 42 milioni rispetto a
Itv. Tra decine di chiamate urbane e intercontinentali, che quel giorno resero felici le compagnie
telefoniche, infine si arrivò all’accordo definitivo con Sky di 304 milioni di sterline per la
trasmissione di sessata partite all’anno.
Le sterline, e qui parliamo di centinaia di milioni, hanno il potere di far perdere il fair-play tanto
decantato nello sport, ormai da tempo lasciato nel dimenticatoio della lista degli invitati del sistema
calcistico. Il 16 agosto 1992, con la diretta del match domenicale Nottingham Forest-Liverpool,
cominciava l’era di Sky.
Le naturali conseguenze del nuovo scenario arrivano fino ai giorni nostri, una Premier League
globalizzata che ha aperto le porte al mondo soprattutto ai capitali stranieri. Uomini d’affari russi,
arabi, americani, asiatici sono ormai da tempo buttati nel grande business della Premier, attirati
certo più dalle sterline che non dalla passione per il calcio. I tifosi non si sono imposti più di tanto e
in fondo non tocca a loro, interessati solo ai risultati sul campo, fare troppo gli schizzinosi.
Tuttavia la forte attrazione creatasi per il fascino storico e la ricchezza economica lo hanno reso così
il campionato più prestigioso del mondo, seducendo i migliori giocatori e allenatori del pianeta, uno
dopo l’altro, proprio come un effetto domino. Questa integrazione internazionale di idee ha portato
una trasformazione interna, creando una cultura calcistica meticciata. Questo ibridismo di linguaggi
calcistici ha contagiato il movimento, il quale ha assorbito la diversità delle filosofie importate da
ogni parte del mondo.
Sì, il calcio inglese è stato influenzato da attori stranieri ma ha saputo farne tesoro per rilanciare il
proprio patrimonio e i risultati son ben evidenti nel lavoro svolto dai settori giovanili.
A questo punto, noi italiani, dovremmo chiederci : «A che punto siamo? Da dove bisogna
cominciare per costruire una base per ripartire?»

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Paolo Scoglietti

"... E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di Coppa in maggio puoi sempre aspettare il primo turno in gennaio, che male c'è in questo? Anzi è piuttosto confortante, se ci pensi" Osservatore della realtà con un grammo di sogno essenziale, scoperto da quando scrivo di calcio inglese. Amante della sua inimitabile storia e di tutti i suoi bauli pieni di segreti.