Pillole di Premier. Il Leeds tra il dirty e il punk: risse, cartellini rossi e pogo

Scordiamoci il fair play, il gioco elegante e la classe sopraffina da numero 10, a Elland Road non interessava né l’estetica e né l’etica. Mai interessato lo spettacolo: 1-0 e “shut up the shop”, giù le saracinesche. Il periodo di quel Leeds fu un rosario di vittorie sempre accompagnate da incidenti, risse, trucchi e polemiche. Come esattamente accadeva nei pub, nei concerti dei Sex Pistols. La band che inaugurò, nel Regno Unito, un nuovo sottogenere del rock: il punk.
L’assoluta mancanza di un minimo standard di etica sportiva mette così in secondo piano i meriti e i
risultati di quella squadra.


Il Leeds era un club vicino alla retrocessione in terza serie, neppure con un grande passato. Anzi, l’unica volta che aveva fatto notizia risaliva al famoso scandalo dei pagamenti illegali avvenuto nel periodo del Primo Conflitto Mondiale.
Nel 1961 decise di affidarsi ad un buon ex calciatore, Don Revie, che inizierà a scrivere pagine di storia portando il club a grandi risultati in Inghilterra e in Europa.
“Dirty Leeds”, così passerà alla storia la squadra. Scordiamoci il fair play, il gioco elegante e la classe sopraffina da numero 10, a Elland Road non interessa né l’estetica e né l’etica. Mai interessato lo spettacolo: 1-0 e “shut up the shop”, giù le saracinesche. Il periodo di Revie al Leeds è un rosario di vittorie sempre accompagnate da incidenti, risse, trucchi e polemiche.
Il leader e capitano è Billy Bremner e nessuno come il piccolo scozzese di Stirling, appena 165 cm di statura, avrebbe potuto incarnare lo spirito della squadra. Centrocampista dagli ottimi piedi, polmoni da mezzofondista, attaccabrighe peggio di Francis Begbie, il pericolosissimo personaggio della pellicola cult “Trainspotting”. Restare sereni con lui in campo sarebbe stata un’impresa persino per Gandhi. In un Leeds-Liverpool a Wembley per il Charity Shield, sfida tra le vincenti del campionato e dell’F.A. Cup, in una mischia in mezzo al campo, lui e il fuoriclasse dei Reds, Kevin Keegan, rimasero a torso nudo a darsele di santa ragione. Sono i primi cartellini rossi della storia della manifestazione. Otto giornate di squalifica a Bremner e tre a Keegan. La sanzione spiegava chi aveva cominciato ad accendere il fuoco. Con il Leeds le risse non facevano notizia. Come esattamente accadeva nei pub, nei concerti dei Sex Pistols. La band che inaugurò, nel Regno Unito, un nuovo sottogenere del rock: il punk. Si trattava perlopiù di un nuovo stile di vita, l’emblema era dipinto senza dubbio dal bassista del gruppo, Sid Vicious. Non solo per il suo soprannome (“Vicious” in inglese significa “malvagio”) ma soprattutto per l’abbigliamento: jeans sporchi, giacca di pelle e anfibi. Secondo le leggende underground londinesi, fu lui l’inventore del “pogo”, un tipo di ballo collettivo che consisteva nello spintonarsi a spallate tra la folla, spesso motivo di scambi di percosse.

Proprio come accadde a Old Trafford nel 1970. Qui si gioca la ripetizione della finale di F.A. Cup, dopo il pareggio di Wembley, Leeds-Chelsea. Più che assegnare un trofeo è l’occasione di sistemare i conti non saldati nella prima partita. Davanti alla tv 28 milioni di persone in Gran Bretagna, record di audiance per una finale, assisteranno a qualcosa piuttosto lontana dal calcio: pugni, calci, ginocchiate e testate. Incredibile l’1-0 per il Chelsea: Peter Osgood, completamente solo in area perché chi doveva marcarlo, un
furente Jackie Charlton, stava inseguendo un avversario blues per restituirgli un calcio ricevuto nell’azione precedente. Ventisette anni più tardi, nel 1997, chiederanno a David Elleray, arbitro internazionale, un giudizio sulla partita con i criteri moderni. Il verdetto parlava di sei espulsi e venti ammoniti.
La guida tecnica di Revie non migliorava la reputazione. Per vincere le studiava tutte, anche cercando di ingannare l’avversario. Come quando in una partita contro il Torino di Coppa delle Fiere mandò in campo la squadra con i numeri di maglia invertiti rispetto ai ruoli, con gli italiani a chiedersi perché il 9 giocasse in difesa e il 5 in attacco. Multe, squalifiche non lo scoraggiarono mai dal polemizzare con arbitri e Federazione. Nella storia del calcio inglese nessuno è stato più odiato di quel Leeds, capace di demolire ogni norma del regolamento. Persero due campionati all’ultima giornata contro il West Bromwich Albion nel 1971 e il Wolverhampton nel 1972, due squadre in quel momento senza particolari interessi di classifica. Questo a testimoniare che niente dava più soddisfazione di sconfiggere quella che era considerata una banda di teppistelli. A volte anche per la gioia di molti arbitri: proprio nell’incontro con il West Bromwich, fu annullato inspiegabilmente un gol all’ultimo minuto ai Whites, il quale provocò disordini a Elland Road. Fu palesemente un’ingiustizia, ma di fronte all’ipotesi di poter diventare di colpo simpatico come vittima di un raggiro, il club difese il comportamento dei tifosi. Risultato: campo squalificato per quattro turni da scontare l’anno successivo.
L’assoluta mancanza di un minimo standard di fair-play mette così in secondo piano i meriti e i risultati di quella squadra. La chiave tattica era l’organizzazione difensiva, e qui ci sono i meriti di Don Revie. Scorrettezze a parte, nessuna formazione inglese aveva mai esibito letture e anticipi come quel Leeds. Ogni giocatore riceveva un dossier molto dettagliato sugli avversari, così nacque il record di appena 26 gol subiti in 42 partite nel 1969, il primo campionato vinto. Squadra chirurgica nella ricerca dei risultati come le due finali di Coppa delle Fiere disputate.
1968, 1-0 a Elland Road e 0-0 a Budapest con il Ferencvàros. 1971, contro la Juventus finisce 2-2 a
Torino e 1-1 a Leeds, premiato grazie alla regola dei gol in trasferta. Vittoria senza neppure vincere,
per loro il massimo, per lo spettacolo si prega di andare al circo.
Revie in pochi anni prese un club vicino alla retrocessione in terza divisione e alla bancarotta portandolo a vincere due titoli, nel ’69 e ’74, una Coppa d’Inghilterra, una di Lega e due Coppe delle Fiere. Nel 1973 nella finale di Coppa delle Coppe persa contro il Milan, a Salonicco, il greco Christos Michas diresse la gara a senso unico, tanto da essere fischiato a lungo dai suoi stessi connazionali presenti allo stadio, qualche anno dopo fu indagato per corruzione.
Non andò meglio nel 1975, nella finale di Coppa dei Campioni al Parco dei Principi di Parigi. Avversario il Bayern Monaco, l’arbitro prima ignorò una trattenuta di Beckenbauer su Bremner in area, poi annullò un gol valido al Leeds prima delle due reti che decretarono la sconfitta. Ormai la pessima fama di quel club aveva raggiunto tutto il continente.
A Parigi Don Revie non c’era più, l’anno prima aveva accettato di guidare la nazionale inglese dopo che Sir Alf Ramsey aveva fallito la qualificazione al Mondiale del 1974. Fu sostituito da Brian Clough. Quest’ultimo accettò l’incarico di allenare i Whites soprattutto per un obiettivo etico: cambiare disciplinarmente quel gruppo di teddy boys, ma anche la letteratura e il cinema, con il “Maledetto United”, ci raccontano come andarono a finire quei 44 giorni da manager del Leeds.
Era praticamente impossibile cambiare la natura di quel gruppo, l’identità era ormai consolidata da tempo, era così che avevano ottenuto il rispetto da tutti i club inglesi ed europei. Il gioco di Don Rieve, Bremner e compagni andrebbe contestualizzato nella cultura di allora.
«Volevamo solo farci rispettare», questa è la risposta alle accuse di gioco sporco. Certo, c’erano altri modi più corretti di ottenere il rispetto , ma va riconosciuto che la durezza sui campi inglesi non era solo prerogativa del Leeds.
Come il punk, anche quel Leeds poteva essere accettato come una filosofia che rappresentava un’identità. Il frontman dei Sex Pistols, Johnny Rotten, definiva così il punk: «Essere punk vuol dire essere un fottuto figlio di puttana, uno che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della Monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo».

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Paolo Scoglietti

"... E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di Coppa in maggio puoi sempre aspettare il primo turno in gennaio, che male c'è in questo? Anzi è piuttosto confortante, se ci pensi" Osservatore della realtà con un grammo di sogno essenziale, scoperto da quando scrivo di calcio inglese. Amante della sua inimitabile storia e di tutti i suoi bauli pieni di segreti.