Paolo Rossi

Era un pomeriggio caldo. Da un piccolo televisore di una casa al mare una voce gracchiante e allo stesso tempo emozionata e stentorea, scandiva una sequenza di nomi come fosse una cantilena: “Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Selezionatore: Bearzot”.

Lo scenario era un piccolo stadio dal nome esotico che oggi non c’è più. Sembrava un’arena destinata alla corrida. Era angusto e rovente come quel pomeriggio. Era il Sarriá di Barcellona. Sugli spalti troneggiavano tricolori e maglie gialle e cocenti come il sole.

Davanti alla tv c’era un bambino. Quel giorno, quel bambino s’innamorò del calcio e nel suo cuore irruppe un nuovo eroe. Aveva un nome comune. Aveva un fisico normale. Non aveva super poteri. Aveva un sorriso raggiante. Indossava una maglia azzurra. Era lesto, furbo ed elegante. Aveva un numero 20 sulle spalle.

Il suo nome era Paolo Rossi.

Era il 5 luglio del 1982, era il giorno di Italia – Brasile.

Paolo aveva un sorriso lungo il viso. Aveva fiuto. Non aveva muscoli, ma due ginocchia rotte. Sorrideva, ma aveva sofferto. Aveva subito l’onta di una squalifica. La sua carriera sembrava finita. Ma su quelle ginocchia martoriate si rialzò. Nessuno credeva più in lui.

Nessuno credeva che potesse tornare Pablito come nel Mundial argentino del 1978. Nessuno tranne Enzo Bearzot, il grande vecio, il testardo e carismatico CT della nazionale italiana di calcio. Fino a quel giorno, a quel 5 luglio del 1982, Paolo aveva corso a vuoto. Fino a quel giorno, non aveva segnato. Per tutti era solo l’ombra di quello che era stato. Ma quel giorno, quel giorno magico, tutto cambiò.

Ore 17:15. Tutto è pronto. Un fischio e inizia la storia, il mito.

5° minuto. Cabrini crossa dalla sinistra. Paolo sbuca all’improvviso. È lì dove doveva essere. La prende di testa, lui che non è un gigante, ed è gol. L’Italia è in vantaggio.

12° minuto. Socrates , il dottore, l’uomo della Democracia Corinthiana, prende palla sul lato destro dell’area. Fa partire il tiro. La palla passa sotto il piede di Zoff. Una nuvoletta sulla linea di porta e il Brasile pareggia.

25° minuto. Paolo intercetta un pallone. Junior e la difesa verdeoro sono sorpresi. Da dove è sbucato? Paolo corre veloce e quel numero 20 si deforma, si allarga a tal punto da sembrare gigante, enorme. Corre verso la porta. È solo. C’è solo il portiere da superare.

È un fulmine, una saetta. Paolo di rapina e astuzia batte di nuovo Valdir Peres, l’ultimo difensore del Brasile più bello di sempre. Italia 2, Brasile 1.

Il Brasile attacca. Palleggia, fraseggia, ma il fortino azzurro tiene.

Paolo Rossi e il secondo tempo della partita più bella

Secondo tempo.

68° minuto. La palla danza al limite dell’area. Falcao, l’ottavo Re di Roma, si fionda sulla bola come se fosse sulla spiaggia di Copacabana. Il suo è un tiro, una parabola perfetta e balorda. È goal. È il pareggio. I campioni sudamericani, i profeti del joga bonito con quel risultato sono qualificati. Gentile ringhia su Zico. Oriali corre a più non posso. Conti, il brasiliano d’Italia, ubriaca Oscar. Junior incanta.

Non è una partita, è un affresco, un’opera d’arte.

74° minuto. Calcio d’angolo per l’Italia. La palla rimbalza al limite dell’area come se fosse samba. Passa tra le gambe degli avversari e il destino la mette nuovamente sui piedi di Paolo. È lì a due centimetri dal portiere e dall’apoteosi. La prende al volo senza pensarci, quasi senza guardare. È goal. È 3 a 2 per gli azzurri. Sembra un miracolo, ma è tutto vero.

Il Brasile non ci sta. Attacca a testa bassa. Sono minuti di sofferenza che sembrano un’eternità. Calcio di punizione per il Brasile. La palla spiove, colpo di testa. È una frustata. Sembra gol, ma Zoff la ferma lì sul gesso della linea di porta. Non è gol. Non è gol.

Bergomi il diciottenne, con i suoi baffi da zio, insegue Jorginho. Scirea spazza l’area con eleganza e naturalezza. Antognoni corre e segna. È 4 a 2 per l’Italia. il Sarriá, lo stadio che oggi non c’è più, è un tripudio di tricolori. Non è gol. L’arbitro Abraham Klein, la giacchetta nera sfuggita agli orrori dell’olocausto, annulla. Non è gol. Italia-Brasile resta 3 a 2 fino alla fine e fino alla storia.

90° minuto. L’arbitro fischia la fine della partita e l’inizio della leggenda. L’Italia ha vinto. Il grande Brasile è stato sconfitto. Paolo Rossi, quel Rossi insultato, criticato, sbeffeggiato, ha fatto una tripletta. Paolo, al fischio finale di quella partita, dall’inferno è asceso alla gloria.

Rossi, Rossi, Rossi. La voce di Nando Martellini è ancora stampata nella memoria. Paolo è tornato Pablito. Ha battuto i più forti, i più belli. Paolo ha segnato. Paolo, il ragazzo dal nome comune, è tornato unico, campione, speciale. Paolo con la sua tripletta ha battuto il Brasile, la critica, la sofferenza, la sfortuna e la vergogna.

Quel bambino davanti a quel televisore di una casa al mare guardava quel numero 20. Fino a quel giorno non sapeva nulla. Non conosceva Paolo Rossi né la sua storia. Non sapeva nulla del calcio e della sua magia. Ignorava l’importanza di quella maglia azzurra. Quei gol, quella vittoria cambiarono per sempre la sua esistenza. Paolo rimarrà per sempre il suo eroe, il suo mito.

Oggi è il 9 dicembre. Quel bambino è diventato uomo. Non ha mai avuto la fortuna di conoscere il suo eroe azzurro. Oggi non può che ricordarlo giovane e forte. Non può che ricordare i suoi gol al Brasile, alla Polonia e alla Germania. Non può che ricordare il suo sorriso. Non può che ricordare il suo magico numero 20 stampato su quella bellissima maglia azzurra. Non può che ricordare quel magnifico, irripetibile 5 luglio del 1982, il giorno che un piccolo grande campione sconfisse il grande Brasile.

Ciao Paolo, per sempre Pablito, nel mio e nel cuore di tutti.

Vuoi leggere qualcos'altro?

Paolo Scoglietti

"... E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di Coppa in maggio puoi sempre aspettare il primo turno in gennaio, che male c'è in questo? Anzi è piuttosto confortante, se ci pensi" Osservatore della realtà con un grammo di sogno essenziale, scoperto da quando scrivo di calcio inglese. Amante della sua inimitabile storia e di tutti i suoi bauli pieni di segreti.