Nel mondo del calcio è così, e lo sarà per sempre: quando le cose non vanno, quando i risultati non arrivano, il primo a finire sul banco degli imputati è l’allenatore. È un’antica legge non scritta, secondo la quale quando la squadra vince i meriti sono del gruppo che è sceso in campo, quando invece perde l’unico, o il maggiore, responsabile è chi dirige dalla panchina.
Ma molto spesso ciò che sta dietro alle difficoltà di una squadra è decisamente più complesso e intricato di quanto si crede, e tutto ciò che sta riguardando la Juventus e Massimiliano Allegri lo è decisamente. Da quando è iniziata la sua seconda parentesi juventina, Allegri non è riuscito a dare una svolta netta di risultati e di gioco ai bianconeri, che da anni faticano ad avere un’espressione corale convincente e anzi, tra le “big” del nostro campionato risultano i meno efficaci ed esteticamente apprezzabili.
La vittoria nel derby con il Torino può rappresentare l’inizio di una svolta sul piano mentale per la squadra, in modo da avere più consapevolezza nei propri mezzi e riuscire a togliere un po’ di ruggine alla manovra zoppicante e farraginosa vista fino a questo momento. Ma i problemi di base rimangono.
16 punti in 10 giornate rappresentano una delle peggiori partenze della storia della Juventus in Serie A, ma da qualche stagione è ormai una costante dover confrontare le partenze con il freno a mano tirato in casa Juve. Anche la scorsa stagione, la prima dell’Allegri-bis, è stata caratterizzata dalle sconfitte che hanno attardato i bianconeri costretti poi a rincorrere il piazzamento Champions a fine campionato.
Anche l’annata di Pirlo ha vissuto una parentesi simile, con 9 punti nelle prime 5 giornate che ne hanno fatto l’avvio peggiore delle 5 stagioni precedenti. Come l’attuale Juve di Allegri, anche quella dell’ex centrocampista di Milan e Juventus non si distingueva certo per fluidità di manovra e spettacolarità nonostante, anche in quel caso così come la formazione di oggi, fosse piena di nomi altisonanti. Cristiano Ronaldo vi dice qualcosa?
La stessa cosa è valsa anche per l’annata a Torino di Sarri, che ha sì portato a casa uno Scudetto ma fondamentalmente per mancanza di avversari competitivi. L’Inter, il Milan e il Napoli di quelle stagioni non sono nemmeno paragonabili alle squadre che vediamo oggi.
E allora siamo sicuri che le colpe della Juventus deludente di oggi sia colpa esclusivamente di Allegri?
È indubbio che l’allenatore di Livorno abbia la sua percentuale di responsabilità, perché la squadra si esprime secondo i dettami tattici di chi la dirige. Ma la sensazione che emerge con maggior forza osservando la Juventus è che manchi senso di appartenenza, sacrificio, unità di intenti a tutti i livelli, non solo tra chi scende in campo.
È diventata tristemente famosa la frase di Maurizio Arrivabene ad un giovane tifoso che gli chiedeva di esonerare Allegri, a cui l’AD juventino ha risposto “Lo paghi tu l’altro che arriva?“. Una semplice battuta, ma spesso tra i sorrisi si dice la verità. Esonerare Allegri vorrebbe dire continuare a pagare il suo stipendio da circa 12 milioni di euro lordi sommandolo all’ingaggio dell’eventuale nuovo tecnico. E nessuno meglio di Arrivabene sa che questo dichiarerebbe il fallimento del progetto di Arrivabene stesso, chiamato in dirigenza proprio per gestire i conti della Juventus e renderla finanziariamente più sostenibile.
Le dichiarazioni di Agnelli in conferenza stampa dopo la sconfitta umiliante contro il Maccabi Haifa in Champions League dove sostiene che un esonero di Allegri a stagione in corso “non sarebbe nello stile Juve” suona dunque più come un “non ce lo possiamo permettere” infiocchettato per i tifosi, cercando di suscitare almeno in loro un minimo di orgoglio, appartenenza e compattezza. La maschera dello stile Juve è un volersi aggrappare al passato.
BEN PRIMA DI ALLEGRI
Andando ancora più a ritroso, bisognerebbe chiedersi se è stata la scelta giusta privarsi di Beppe Marotta, vero e proprio demiurgo della Juventus vincente per 9 anni di fila in Italia e che per due volte è stata in finale di Champions rappresentando un modello da seguire per le altre società italiane. Quel Marotta che ha riportato l’Inter a vincere uno scudetto dopo più di un decennio nonstante tutte le difficoltà economiche in cui naviga la proprietà Suning.
Quel Marotta che è stato sostituito da Paratici, il quale dopo tre stagioni ha lasciato la Juventus per volare al Tottenham, portando in dote due presunti scarti come Kulusevski e Bentancur, rinati a nuova vita con la maglia degli Spurs. Tutte semplici coincidenze?
Anche la costruzione della rosa, con il senno di poi, lascia a desiderare. Per cercare di risolvere la “maledizione Champions”, a Torino è stato preso Cristiano Ronaldo. Economicamente un passo forse troppo lungo, ma che si sperava potesse essere tamponato con i ricavi derivanti dalle vittorie in campo internazionale. Risultato: nei tre anni di CR7 la Juve non è mai andata oltre i quarti, uscendo con Porto, Lione ed Ajax.
Chiusa la parentesi Ronaldo andato via quasi sbattendo la porta, si è provato nell’ultima sessione di mercato a creare un instant team: Pogba, Di Maria, Paredes, Bremer. Ma davvero non è servita la lezione del PSG per quanto riguarda la costruzione di una rosa come fosse una squadra di Fifa? Sobbarcandosi per di più ingaggi decisamente onerosi che potrebbero aver fatto storcere il naso a chi per la Juventus gioca da molti più anni e che non ha ricevuto lo stesso trattamento economico.
La Juventus viene da anni deludenti perché da anni mancano le fondamenta. Il ciclo della Juve che ha dominato in Italia è definitivamente finito, e continuare a cercare di tappare le falle della barca che imbarca sta costando più di comprare una barca nuova. La Juventus deve ripartire dalle basi, per ricostruire nella squadra e nell’ambiente in toto quel senso di orgoglio e quel sentimento che lega nei momenti difficili anziché disunire.
Un esempio lampante in questo senso è il Milan. La squadra italiana più vincente in Europa dal 2011 in poi è caduta sempre più nel baratro, arrivando anche più in basso di dove si trovi la Juventus di adesso, rimanendo per anni senza Champions o dovendo lottare per conquistarsi un posto in Europa League. Dopo le spese folli della gestione Mirabelli e Fassone, nella rosa attuale non è rimasto nessuno di quella campagna acquisti dopo l’addio di Kessié.
Sono stati scelti gli uomini giusti che potessero trasmettere il peso e la responsabilità ma anche l’orgoglio di vestire quella maglia come Maldini. Persone che conoscono il mondo del calcio dal punto di vista economico da decenni come Gazidis, e non dalla Formula 1. Sono stati presi dei giovani da far crescere sotto la guida di un allenatore che potesse farli maturare prima come uomini che come calciatori, e la naturale conseguenza è l’aumento del valore della rosa, del brand e quindi dei ricavi. Ci è voluto tempo, certo, ma i risultati sono piuttosto evidenti.
Allegri è la punta di un iceberg che sta affondando sempre di più. La Juventus di un tempo non esiste più, e l’unica a non capirlo è la Juventus stessa.