Si può dire con certezza che l’Arsenal finora, in questa stagione, è la miglior squadra della Premier League e gran parte di ciò è dovuto alla straordinaria forma del suo capitano.
Martin Ødegaard ha alzato lo standard delle sue prestazioni a un livello che potrebbe essere sulla buona strada per guidare la squadra londinese al titolo. Lo dimostra in campo con le sue giocate, la sua leadership tecnica e non solo. Quella fascia al braccio è simbolo e impronta di un gruppo miscelato di talento e disciplina.
È incredibile quanto sia migliorato, sotto diversi aspetti, all’Arsenal, considerando che durante il periodo al Real Madrid non ha mai segnato un gol o fornito un assist.
Riavvolgendo il nastro della sua storia, è d’obbligo ricordare il suo trasferimento al Santiago Bernabeu, quando al momento della firma gli mancavano pochi mesi al compiere il sedicesimo compleanno.
Dopo anni di prestiti, girovagando tra Olanda (Heerenveen e Vitesse) e Spagna (Real Sociedad), arriva la chiamata dei Gunners. Sempre in prestito. Però nel Nord di Londra ci sanno fare con i talenti, è inscritto nel DNA del club: l’Arsenal ha sempre creduto nei giovani, fin dai tempi del manager Herbert Chapman.
Come racconta l’ex bomber Ian Wright al quotidiano spagnolo Marca: «L’hanno comprato quando aveva quindici anni e pur vedendo le sue potenzialità non hanno avuto la pazienza necessaria. L’Arsenal ne ha beneficiato, basta vedere come guida la squadra da capitano: dà l’esempio.»
Non c’erano mai stati dubbi sul talento del norvegese, ma in questo momento sta esprimendo tutto il suo potenziale. E anche il suo allenatore Mikel Arteta merita il giusto riconoscimento.
È passato un anno dall’addio di Pierre-Emerick Aubameyang, allora capitano dell’Arsenal. Durante quel periodo il portiere Ramsdale raccontava quanto fosse importante Ødegaard per Arteta, il quale durante le sessioni di allenamento chiedeva, in spagnolo, sempre le sue opinioni sulla squadra.
Ødegaard in campo non parla solo con i piedi ma anche con il suo carisma, frutto di una maturità acquisita forse troppo presto, dovuto al fatto di aver avuto i riflettori puntati addosso già da ragazzino.
In campo ha l’aria di una persona seria, fuori dal campo sembra una persona tranquilla che pesa le parole, non risponde mai d’istinto.
Ødegaard è il giocatore che attraverso le sue letture interpreta la manovra dell’Arsenal e la indirizza, e in tal senso può essere considerato il regista della squadra. Non partecipa attivamente all’uscita del pallone da dietro ma ne segue i movimenti per poi prendere in mano la situazione dalla seconda linea.
Quando non ha il pallone indica ai compagni di muoversi, consiglia l’azione da fare. Ecco, queste caratteristiche sono puramente da leader in campo. È il giocatore più fondamentale della formazione, un rifinitore creativo. In una sola parola: il cervello della squadra.
Per sottolineare ancor di più il suo impatto, basta riportare le parole di Arteta quando l’Arsenal, la scorsa stagione, ebbe un inizio critico: «Quando tutti iniziavano a tremare, lui ci ha dato stabilità e serenità con il pallone ha creato un’occasione dopo l’altra. Lo ha dimostrato, credo, fin dal suo arrivo. Il modo in cui entra in campo, vuole sempre la palla e comanda il pressing. È stato davvero influente. Credo che tutti noi siamo rimasti sorpresi perché sembra molto timido e umile, ma quando scende in campo mostra carattere e ama giocare a calcio».
Di anni ne ha ventiquattro, è ben più giovane della media dei suoi colleghi e pariruolo, ma sulle spalle ha già una carriera impegnativa e sotto pressione. Quella che ora si sta togliendo di dosso: Martin non è più il giovane prodigio del Real Madrid, ma una certezza di una società che sta risorgendo e punta ferocemente al titolo di campione d’Inghilterra.