“Il viaggio non è mai una questione di soldi, ma di coraggio”
Paolo Coelho
Marco ha una valigia. È colma di conoscenza, esperienza, emozione e passione. Il suo viaggio è lastricato di molte corse, tanto coraggio e poca gloria. Il suo peregrinare l’ha portato un po’ ovunque. È partito da un piccolo centro del Piemonte. È partito da una Fiat 127, dai vecchi racconti di nonno Gino. È partito per afferrare il suo destino. Questa è la storia di un viaggio. È la favola di Marco Rossi, un sognatore, un allenatore.
Il viaggio di Marco inizia a Druento, un paesino a quindici km da Torino, il 9 settembre del 1964. È un bambino che vuole fare il calciatore. Inizia a tirare i primi calci nel settore giovanile del Torino. Tutti i giorni, nonno Gino lo accompagna agli allenamenti con la sua Fiat 127 bordeaux. Papà Vittorio, non può. Vittorio Rossi lavora alla CEAT, l’azienda Pneumatici Pirelli. Esce all’alba e rientra a casa tardi, stanco e sporco come uno spazzacamino, così sporco che gli si vedono solo gli occhi. Nonno Gino, classe 1913, ha il cuore granata e una passione per Ferenc Pusckas PUSKÁS e l’Honved, la formidabile squadra ungherese degli anni Cinquanta. Declina tutta la formazione a memoria. In quella 127, racconta a Marco di Valentino Mazzola, di Superga, PusckasPUSKÁS, dell’Honved, edell’Aranycsapat, della squadra d’oro, della grande Ungheria. Le sue narrazioni sono epiche, eroiche. Marco le vuole ascoltare e riascoltare, non si stanca mai. Cresce con il Toro nel sangue e sognando PusckasPUSKÁS.
Si allena allo stadio Filadelfia. Sotto gli occhi attenti e competenti di Sergio Vatta, allenatore delle giovanili dei granata, si forma come calciatore. È un buon terzino sinistro, all’occorrenza può giocare come difensore centrale, DA libero, come si diceva una volta. Nel 1984, esordisce in Serie A con la maglia granata. Lascia ben presto la città della Mole. Il suo viaggio è appena agli inizi. La sua carriera si sviscera DIPANA nelle serie minori del calcio italiano: Campania, Catanzaro, Brescia. Ha determinazione e tanta voglia di imparare. A Brescia conquista la Serie A e incontra Mircea Lucescu. Dall’allenatore rumeno assorbe una nuova filosofia di gioco. Apprende tattica e tecnica. Afferra l’importanza del dettaglio, perché sono i dettagli che fanno la differenza. Dopo quattro stagioni al Brescia, nel 1993, approda a Genova, alla Sampdoria. Marco non è titolare, ma continua ad imparare. Impara dai compagni, impara soprattutto da Sven Goran Eriksson, l’allenatore svedese dei blucerchiati. Assimila che se vuoi allenare devi riconoscere i leader del gruppo, devi conquistarli, devi far leva su di loro, devi guadagnare la loro fiducia per convincerli a seguirti. Nel 1995, vola a Città del Messico, al Club de Fútbol America. La sua è una scelta suggestiva e controcorrente. Decide di andar via per migliorare, perché vuole cambiare. Il viaggio è osmosi, è dare e ricevere. All’America ad aspettarlo c’è un allenatore argentino atipico, singolare. Lo chiamano “loco”, pazzo. Si chiama Marcelo Bielsa. L’argentino è tutto fuorché folle. È un visionario, un futurista. Con Bielsa, Marco conosce la cultura del lavoro, la maniacalità. Apprende che il calcio, nella sua semplicità, può essere scienza. L’esperienza messicana si esaurisce in una sola stagione. Marco è pronto a fare la valigia. Si trasferisce, a Francoforte, all’Eintracht, in Germania. Il viaggio continua. Nell’estate del 1997 è a Piacenza, in Serie A. Il tempo di salvare la squadra emiliana dalla retrocessione e si rimette di nuovo in viaggio. Scende in Serie D. Nel 2000, il suo tragitto da calciatore si esaurisce a Salò.
Marco vuole fare l’allenatore. La sua carriera si barcamena nelle serie inferiori. Dal calcio degli ultimi, dei dilettanti, dei semiprofessionisti, impara e si fortifica. Le serie minori non perdonano. Prendi calci e schiaffi. Lotti su campi polverosi e fangosi. Ogni maledetta domenica, sei lì, a combattere centimetro su centimetro. Gli ingaggi della Serie A sono chimere, lo fai per pochi spiccioli, per vivere, ma soprattutto lo fai per passione, perché non puoi farne a meno. Inizia dalla Berretti del Lumezzane. Nel 2004, gli viene affidata la prima squadra in C1. Viene esonerato dopo due stagioni e una salvezza. Nel 2006, è sulla panchina della Pro Patria. Nel 2009, viene chiamato allo Spezia in Serie D. L’anno seguente è di nuovo in viaggio, da nord a sud, prossima fermata: Scafati e la Scafatese in Serie C. I soldi non ci sono, gli stipendi non arrivano, ma Marco non demorde e riesce a centrare un’impensabile salvezza. Il calcio non è solo denaro, è altro (tolta virgola): è sudore, fatica, desiderio. Nel 2011, è ancora in Serie C sulla panchina della Cavese. L’esperienza è disastrosa, traumatica. Viene esonerato. Il telefono non squilla più. Non lo cerca più nessuno. Il cammino sembra finito, ultima stazione: Cava de’ Tirreni.
Marco è con la valigia in mano. Stavolta è depresso. Si aggrappa alla famiglia e alla moglie Mariella, colei che lo ha sempre sostenuto e incoraggiato. Si sente un fallito. Il mondo del calcio lo ha dimenticato. Non gli resta che tornare a casa, a Druento, lì dove tutto è iniziato. È rassegnato ad accettare l’impiego da commercialista offertogli dal fratello.
MA Il telefono squilla. È un vecchio amico conosciuto a Francoforte. Gli consiglia di contattare Fabio Cordella, Direttore Sportivo dell’Honved, la squadra ungherese tanto cara a nonno Gino. È un segno del destino. Il viaggio è coraggio. Il viaggio continua: destinazione Budapest, Ungheria.
Nel 2012, Marco Rossi è il nuovo allenatore dell’Honved. I fasti degli anni Cinquanta e di Pusckas PUSKÁS sono lontani. Gli inizi non sono facili, la lingua è inaccessibile e non la imparerà mai, ma (tolta virgola) Marco ha le spalle larghe. Nel 2017, l’Honved, dopo 24 anni, è campione d’Ungheria. La sua missione è terminata. Decide che è il momento d’intraprendere una nuova esperienza. Si rimette in gioco, non in Italia, in patria lo hanno dimenticato, non c’è posto per lui, bensì nel campionato slovacco, alla guida del DAC Dunajska Streda. Termina la stagione 2017/2018 con uno storico terzo posto.
Il telefono squilla. Marco risponde. È la Federcalcio Ungherese. Il 20 giugno del 2018, Marco Rossi è il nuovo commissario tecnico dell’Ungheria.
Sono passati 4 anni da quel 20 giugno e lui è ancora lì su quella panchina della nazionale magiara. Nel frattempo, ha centrato una qualificazione ai Campionati Europei. Nel frattempo, la sua Ungheria ha battuto l’Inghilterra in Nations League, a casa loro, come fece la grande Ungheria. Nel frattempo, si gode il primato in questa nuova competizione europea. Chissà come la racconterebbe nonno Gino questa splendida impresa?
Sì, il viaggio di Marco continua…
La valigia è piena di emozioni, esperienza e passione. È più sgualcita e vissuta. È partita da Druento ed è arrivata a Budapest. È sempre la stessa. È la compagna di una vita. È la compagna di un viaggio. Al suo interno è custodito un sogno. È il sogno di un allenatore, un viaggiatore. È il sogno di Marco Rossi.