Maradona

“La tocca per Diego, ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale. Può toccarla per Burruchaga…sempre Maradona…genio, genio, genio…c’è, c’è, c’è… goooooooooool… voglio piangere…Dio Santo, viva il calcio… golaaaaaazooo… Diegooooooool… Maradona…c’è da piangere, scusatemi… Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi… aquilone cosmico…Da che pianeta sei venuto per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Perché il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina… Argentina 2, Inghilterra 0.. Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Grazie, Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0”

Victor Hugo Morales, 22 giugno 1986

Diego era un bambino. Aveva profondi occhi neri. Aveva un sogno. Voleva fare il calciatore e vincere la coppa del mondo. Aveva un sinistro magico. Con quel pallone fatto di stracci e miseria era capace di tutto.

Viveva a Villa Fiorito, una putrida bidonville alla periferia di Buenos Aires. Diego era povero. Non aveva nulla. Il suo sogno era alimentato dal suo infinito talento e dalla fame, quella vera che attanaglia le viscere. Diego voleva fare il calciatore e comprare una casa ai suoi genitori. Era tutto ciò che desiderava.

Diego è un ragazzino. Non vive più a Villa Fiorito. Ce l’ha fatta, è un calciatore professionista. La palla di stracci e miseria è stata sostituita da un pallone vero. I campi acquitrinosi e polverosi sono diventati stadi imponenti. Gli occhi strabiliati dei bambini che lo vedevano palleggiare con le arance sono diventati gli occhi di milioni di tifosi ammaliati. Con i primi guadagni ha realizzato il suo sogno. Ora papà, Don Diego, il maniscalco che tornava stanco nella baracca di Villa Fiorito dopo ore di lavoro duro e massacrante, sua mamma e i suoi fratelli hanno una casa vera.

Diego è un calciatore. Nasconde la palla. La tocca con la suola e con il tacco come nessuno ha mai fatto e nessuno mai farà. Beffa il difensore. Sembra andare a sinistra, ma ti salta a destra. In fondo il calcio non è altro che un gioco basato sull’inganno e Diego è un maestro. È un mago. È un illusionista. L’Argentina ormai è troppo stretta per il suo genio, la sua fantasia. Se vuoi diventare il più grande devi volare in Europa.
Diego vola verso Barcellona. Il suo talento è indiscutibile, ma il Barca non è la sua terra promessa.

Diego è un campione. Quel sinistro magico, quel genio ne ha fatta di strada, ma ancora ne deve fare. È il suo destino. Napule è na’ carta sporca e nisciuno se ne importa, ma a Diego importa. Il “San Paolo” è ai suoi piedi. La folla lo invoca, lo ama, lo anela, lo desidera.
Diego è un Dio. È un Dio pagano, terreno. Regala felicità, divertimento, evasione. Regala riscatto sociale. Con un suo gol, per una domenica, per un giorno, per un attimo gli ultimi diventano primi. Una sua finta, un suo dribbling, una punizione, un gol valgono un miracolo, sciolgono o sang dint e ven.

Napoli è campione d’Italia grazie a Diego, a quel Dio, quell’aquilone cosmico. Il giorno del trionfo l’intera città è ubriaca di gioia come non mai. Quel giorno Napoli è più bella che mai, brilla di mille culure e sulle mura del cimitero compare una frase: “ E che vi site perso”.

Diego è campione del Mondo. Il sogno è compiuto nella sua interezza. Il ragazzino è diventato calciatore. Il calciatore ha vinto la coppa del Mondo come voleva, come desiderava. Diego è sul prato dell’Azteca con la coppa. La coccola, la bacia, la alza. Ha vinto per il suo popolo. Ha vinto per l’Argentina. Sì perché Diego vinceva soprattutto per gli altri, per gli ultimi. La vera magia era quella, era la felicità di chi non aveva felicità.

Diego era contraddizione. Era diavolo e acqua santa. Era genio e sregolatezza. Era la “mano de dios” e “il gol del siglo”. Era tanto forte quanto fragile. Era ribelle, disonesto, generoso. Era tanto normale quanto speciale. Era un tossicodipendente. Era il miglior compagno di squadra. Era un leader, un capitano, un condottiero. Era un eroe. Era un Dio schiacciato dalla gloria. Era uno, nessuno e centomila. Era inganno, magia, illusione. Era astuzia. Era provocazione. Era un angelo dalla faccia sporca. Era il primo degli ultimi. Era tanto amato quanto odiato. Era perfetto nella sua umana imperfezione.

Era un ragazzino povero di Villa Fiorito. Sognava di fare il calciatore. Voleva vincere la coppa del mondo e comprare una casa ai suoi genitori. Divenne Diego Armando Maradona il più grande di tutti. Non era il suo desiderio. Era il suo destino, divenne la sua condanna.

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Paolo Scoglietti

"... E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di Coppa in maggio puoi sempre aspettare il primo turno in gennaio, che male c'è in questo? Anzi è piuttosto confortante, se ci pensi" Osservatore della realtà con un grammo di sogno essenziale, scoperto da quando scrivo di calcio inglese. Amante della sua inimitabile storia e di tutti i suoi bauli pieni di segreti.