Robben Island è un isolotto che si trova a 12 km da Cape Town, in Sudafrica. È l’isola delle foche. Prende nome dalle otarie che vivono lì.
Robben Island non è un luogo o un’isola qualsiasi.
Per ben 18 anni, su 26 totali di detenzione, è stata il carcere di Nelson Mandela e di migliaia di prigionieri politici. Robben Island è stata la colonia penale dell’apartheid. È stata l’inferno per migliaia di uomini di colore. I prigionieri erano condannati a spaccare pietre. Dovevano spaccare pietre per produrre pietre. Il loro era un lavoro duro, inutile, umiliante, insensato. Erano oggetto di privazioni corporali. Erano oggetto di torture e maltrattamenti. La loro unica colpa era quella di essere di colore. La loro unica colpa era quella di sognare di essere liberi.
Un giorno, nel corridoio del carcere, si materializzò una palla fatta con delle magliette annodate. Nel penitenziario era vietato giocare a calcio. I detenuti erano ben consapevoli del divieto, ma cominciarono a prendere a calci quel pallone. I secondini vietarono in maniera violenta ai prigionieri di giocare con quel pallone. I carcerati, però, non si arresero. Nonostante supplizi e proibizioni, continuarono a prendere a calci quegli stracci. Lo fecero non curanti delle sevizie.
Dopo tre anni di torture e divieti ottennero un piccolo grande risultato: dall’autorità carceraria gli fu concesso di poter giocare a pallone per 30 minuti ogni sabato. Spaccavano pietre tutto il giorno, erano stanchi, esausti, come potevano giocare a calcio? Così la pensavano gli aguzzini, ma si sbagliavano. La stanchezza dietro a quel pallone svaniva. Il calcio offriva un sogno: la libertà. Il calcio offriva loro la speranza di un futuro migliore. Utilizzando legni e reti da pescatore ritrovati in mare, furono allestite le porte. Prendendo a calci un pallone di stracci cominciarono a giocare.
LA MAKANA F.A.
Ben presto, il calcio a Robben Island divenne più di un gioco o un passatempo. I detenuti cominciarono a studiare il regolamento FIFA e istituirono una vera e propria lega. La chiamarono “Makana Football Association”. Fu chiamata così in onore del condottiero zulu Makana, ucciso un secolo prima, mentre cercava di evadere da Robben Island, all’epoca colonia di lebbrosi. La “Makana Football Association” prevedeva 27 squadre, divise in tre divisioni. Prevedeva promozioni, retrocessioni, arbitri. Era strutturata come un torneo professionistico a tutti gli effetti.
La partita inaugurale fu disputata nel 1966 tra i Rangers e i Buck. I detenuti che vi parteciparono divennero tutti esponenti di spicco del futuro Sudafrica. Tra loro vi era anche Jacob Zuma, il quale fu il presidente del Sudafrica ospitante la Coppa del Mondo nel 2010.
Il calcio offriva ai detenuti sollievo e speranza. Organizzare un torneo di calcio, in quelle condizioni estreme, dava loro la possibilità di mettersi tutti i giorni alla prova. Dava loro l’aspettativa che un giorno sarebbero stati in grado di guidare una nazione nuova, giusta e libera. Scrivere un corretto referto arbitrale, era l’esercizio per scrivere, in futuro, da uomini liberi, delle buone leggi. Applicare le regole del gioco era propedeutico all’applicazione futura delle norme giuridiche. “Makana F.A.” fu l’inizio, l’alba dell’organizzazione sociopolitica del Sudafrica.
La matricola 466/64 non poteva partecipare alle partite, né tantomeno assistere da semplice spettatore. Madiba, Nelson Mandela, era segregato, rinchiuso in una cella angusta. Da quelle quattro mura ascoltava le grida di esultanza per un gol. Ascoltava le proteste per un rigore negato, per un fallo non fischiato. Dalla sua cella, il suo cuore sentiva che il nuovo Sudafrica, una nazione dove non ci sarebbero state distinzioni, dove uomini, bianchi e neri, potevano vivere in pace, una nazione più giusta e civile, stava nascendo. Mandela, il condottiero della lotta all’apartheid, ascoltava i suoi compagni combattere per la libertà, senza ricorrere alla violenza, ma giocando a calcio. Sentiva quegli uomini combattere con lo sport.
Il Sudafrica sognato da Mandela stava nascendo proprio lì a Robben Island, proprio lì su quell’isola dell’ingiustizia e della disperazione, grazie a degli uomini che rincorrevano una palla di stracci desiderando di laurearsi campioni della “Makana Football Association”
Il calcio è solo un gioco, ma può essere più di un gioco.
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Lo sport può svegliare la speranza dove c’è disperazione”
Nelson Mandela [18 luglio 1918 – 5 dicembre 2013]