Nessuno dei nostri calciatori emigrati, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, nell’isola del football si è adattato perfettamente a quelle latitudini come il ragazzo romano del quartiere di Quarticciolo.
Paolo Di Canio divenne in poco tempo più inglese del tè delle cinque, dei bus londinesi e delle cabine telefoniche rosse.
Scoperto dalla Lazio che lo lanciò in serie A, venne ingaggiato prima dalla Juventus, con una parentesi al Napoli, e poi dal Milan riuscendo a conquistare una Coppa UEFA a Torino e uno scudetto in Lombardia, ma non da protagonista. Non aveva ricevuto tutto lo spazio necessario per esprimere le sue qualità, per certi versi la sua storia ebbe la stessa parabola di Gianfranco Zola, anch’egli poi scappato verso la terra di sua Maestà.
Gli aggettivi per raccontarlo sono tanti ma tenteremo, prendendo in esamina gli episodi più rilevanti del suo percorso nell’Oltremanica.
TALENTUOSO. Nel 1996 accetta l’interesse del Celtic. Spesso si dice che l’istinto è lo specchio dell’anima, quella di Paolo coincide con l’istinto di battaglia dei campi scozzesi non solo per il suo talento ma soprattutto per la sua personalità.
A Glasgow i soli problemi di adattamento si limitano alla guida a sinistra: ritirata la macchina dalla concessionaria del club, dieci minuti dopo è già di ritorno. Alla prima rotonda la fiancata dell’auto è stata grattugiata come il parmigiano su un piatto di spaghetti al sugo. Il resto è perfetto: 12 gol in campionato nella prima stagione non sono sufficienti per vincere il titolo, ma bastano a lui per il riconoscimento di miglior giocatore.
Capisce subito che merita il miglior palcoscenico, la Premier League. È lo Shieffield Wednesday a portarlo in Inghilterra. Diventa subito l’idolo delle civette, soprattutto in quella magica notte in cui trascinò la sua squadra sul 2-0 con il Manchester di Alex Ferguson. Quindici gol sono il bottino alla prima esperienza nel massimo campionato britannico ma soprattutto sono undici le giornate di squalifica ricevute nella seconda.
Di Canio e quella spinta ad Alcock…
AGGRESSIVO E GENIALE. Rissa in una partita con l’Arsenal, l’arbitro Paul Alcock gli esibisce il rosso, lui non ci sta e lo spinge. Un tocco leggero ma il signore cade a terra all’indietro persino in una maniera comica. È la fine. Il suo destino sembra già scritto, un atto irruento di quel tipo, in Inghilterra poi, sembra l’epilogo amaro di una bella avventura cominciata alla grande.
Nel distretto londinese di Newham credono nelle seconde possibilità. Sconta la squalifica ed entrerà per sempre nei cuori dei tifosi Hammers, il Boylen Ground diventerà suo. Quattro anni e mezzo conditi da colpi di genio difficili persino da immaginare, come la meravigliosa sforbiciata contro il Wimbledon nella stagione 1999-2000. Viene votato miglior gol del campionato ma essendo l’ultimo anno della decade, si svolge anche il sondaggio del gol del decennio. Vincerà ancora lui.
ASTUTO. Al “Teatro dei Sogni” beffa di nuovo i Red Devils in F.A. Cup, questa volta con un colpo d’astuzia: partendo sul filo del fuorigioco fugge verso la porta avversaria dove il portiere Fabien Barthez cerca di distrarlo con la mano alzata per un presunto fuorigioco. Il dieci manda la palla nell’angolino con un effetto di esterno, esultando sotto la curva dei mancunians. Storica qualificazione a casa di Ferguson, il quale provò più volte a portare il suo talento ad Old Trafford ma lui rifiuta. L’amore per il West Ham vale più di un trofeo.
IRASCIBILE. Come la volta in cui litiga con un giovane Frank Lampard per tirare un rigore. Il West Ham è sotto 4-2 in casa con il Bradford, lui strappa la palla dalle mani del ragazzino e dal dischetto la spedisce in porta. «Tranquillo Frank, adesso rimontiamo e tu segnerai la rete della vittoria». Succede davvero quando Lampard firma il clamoroso 5-4.
Di Canio e il fair play che non ti aspetti
LEALE. Ma è il 18 dicembre 2000 che conquista il rispetto di tutto il Regno Unito e da lontano, di tutto il mondo dello sport. Manca una settimana al boxing day, si gioca a Goodison Park contro l’Everton, una delle cosiddette “best of the rest”, battaglie per i migliori posti di metà classifica.
L’attaccante romano, col portiere avversario a terra infortunato, sul traversone del compagno Trevor Sinclair, blocca il pallone con le mani anziché ricevere il pallone e proseguire verso la porta sguarnita, vedendo lo sfortunato Paul Gerrard accasciato a terra quando l’incontro era sull’1-1.
Per un attimo il pubblico si ammutolì, ma subito dopo fece partire un lungo applauso. Non tardarono i complimenti della FIFA che a fine anno gli consegnò il premio Fair Play ed una lettera ufficiale di encomio spedita da Joseph Blatter.
Era evidente che gli fosse accaduto qualcosa di importante al ginocchio, infatti il portiere dell’Everton rimase fuori cinque mesi. Per la cronaca il match finì in parità e Di Canio cancellò la macchia dello spintone al goffo Alcock con una perla decoubertiniana.
Duro ma leale: nella sua filosofia di battaglia non c’è gusto a sconfiggere un rivale che non sta in piedi.