Domenica pomeriggio, a Wolverhampton, Jamie Vardy è diventato il primo giocatore nella storia
della Premier League a segnare 100 gol nel massimo campionato inglese dopo aver compiuto i 30
anni.
In tutto ciò prima del fischio d’inizio si era scolato una lattina di RedBull, incurante delle telecamere
e molto probabilmente si era concesso un morso di tabacco da masticare, prima della partenza con
la propria squadra. Questo è Jamie Vardy, un ragazzo della periferia che da calciatore professionista
continua a vivere questo sogno con spirito dilettantistico.
Nel suo curriculum ci sono: il benservito ricevuto dal settore giovanile dello Sheffield Wednesday,
l’ingaggio dei dilettanti dello Stocksbridge Park Steels dove guadagnava ben 30 sterline a settimana,
il passaggio all’Halifax Town che sborsò la folle cifra di 15.000 sterline. Sempre tra i dilettanti,
ovvio, lui che pure è un professionista. Nel senso che ha una professione: venditore di protesi
mediche, che gli permette di sbarcare il lunario. E che non abbandona neppure dopo l’offerta del
Rotheram United, all’epoca in quarta divisione inglese.
Troppo breve il contratto: rifiuta, meglio le protesi. Se deve spostarsi la fa con il Fleetwood Town,
sempre dilettanti, con cui si può continuare a vendere protesi allenandosi la sera. È la svolta. Segna
31 gol in campionato, viene eletto giocatore dell’anno della Conference Premier, la divisione più
prestigiosa dopo le leghe professionistiche, e stavolta a farsi vivo è il Leicester, all’epoca in
Championship, la serie B inglese.
Come nel celebre film “Gambe d’oro” dell’immortale Totò nella parte del presidente di un piccolo
club di provincia, anche i dirigenti del Fleetwood Town devono leggere più volte l’assegno su cui è
stata scritta la cifra di un milione di sterline, aumentabile di altre 700.000 in caso di raggiungimento
di determinati risultati.
Mai un club di dilettanti aveva ricevuto una somma simile per un giocatore. Per il quale invece è
pronto un contratto triennale che lo convince finalmente, a venticinque anni, a mettere da parte le
protesi mediche. A cui però è pronto a tornare alla fine della prima stagione dopo aver capito,
segnando appena 4 reti, la differenza tra i dilettanti e un torneo giusto un gradino sotto le stelle della
Premier.
Non si sa se il manager Nigel Pearson insista per reale convinzione o per non esporsi alla figuraccia
di aver sborsato tanta grana per uno che segnava nei tornei del dopolavoro, fatto sta che Vardy
rimane a Leicester.
Con 16 gol l’anno seguente guida la squadra alla promozione in Premier League, dove viene
nominato giocatore del mese di aprile e mette insieme la prestazione della vita il 21 settembre 2014.
Sotto 3-1 con il Manchester United, il Leicester rimonta con il primo gol in Premier di Vardy che
piazza anche quattro assist per il 5-3 finale.
Non è certo il più prolifico dei centravanti: a quella con il Manchester aggiunge la miseria di altre
quattro reti, quell’anno.
Claudio Ranieri, al suo arrivo, dovrà arrangiarsi con lui in attacco. Dopo qualche partita, qualcuno
comincia a fare i conti, scoprendo che Vardy va in gol da nove partite consecutive, traguardo
raggiunto prima dal divino Ruud Van Nistelrooy e poi, ai giorni nostri, dal cyborg Erling Haaland.
Qualcuno domenica ha contato fino a 100. Dal 2015-16 Vardy ha raggiunto sempre la doppia cifra
in campionato. E continua a farlo con la gioia del dilettante, festeggiando alcuni gol con, ormai, i suoi
classici sfottò: davanti alla curva dei Wolves, mani sulla bocca e ululato di lupo ai tifosi avversari;
oppure si ferma e agita la mano sotto il naso per sottolineare ai tifosi avversari la puzza che finge di
sentire.
Potete anche ricordaglielo che sta per arrivare la trentaseiesima candelina ma sarebbe fiato perso.
Nonostante l’età sembra sempre caricato come quelle pile dall’energia inesauribile.
Jamie Richard Gill Vardy, da Sheffield, una storia che avrebbe ispirato Shakespeare.