Il culto del calcio a Natale

«Chiedo il permesso di sparare signore.» La richiesta del sergente, pronto a far fuoco con il fucile puntato. La situazione era piuttosto bizzarra: due soldati tedeschi, completamente disarmati alla luce della luna, erano sul parapetto della loro trincea. Non serviva un cecchino per colpirli. O i tedeschi erano impazziti oppure era una trappola. E invece si trattava di altro.

«Oggi non vogliamo combattere se anche voi non lo fate» urlavano in inglese i soldati tedeschi. «Siamo pronti a mandarvi delle birre» aggiunsero.

Sorpreso, il capitano Stockwell, ufficiale dei Reali Fucilieri del Galles, decise di incontrare il suo parigrado nella terra di nessuno, esattamente a metà strada tra le opposte trincee. L’ufficiale tedesco accettò.
«I miei ordini sono di non fraternizzare con il nemico» esordì il capitano inglese nel colloquio più surreale che avesse mai affrontato, ricordando come i suoi uomini avrebbero potuto aprire il fuoco in ogni momento. «I suoi ordini sono gli stessi che ho ricevuto io» replicò l’ufficiale tedesco. «Ma oggi potremmo decidere per una tregua nei combattimenti».

I combattimenti nelle trincee attorno a Ypres sarebbero stati, in verità, più corretto chiamarli massacri. Se non bastavano i proiettili e gli assalti all’arma bianca c’erano terribili gas velenosi.
Come l’iprite, che prese il nome proprio dalla cittadina belga al confine con la Francia, uno dei più angoscianti teatri di guerra del primo conflitto mondiale, i morti si contavano già a centinaia di migliaia.

Aveva ragione l’ufficiale tedesco, c’era bisogno di una tregua. Oggi, aveva specificato. Per un motivo molto semplice. Quel giorno era il 24 dicembre 1914, vigilia di Natale. Stockwell si disse d’accordo. Le armi dovevano tacere.

Accadde il miracolo. Mentre lungo la linea del fronte franco-belga si continuava a combattere, in altri settori centinaia di soldati inglesi e tedeschi erano usciti dalle trincee, stringendosi la mano, cantando insieme, scambiandosi doni. I tedeschi offrirono birra, gli inglesi budino alla prugna.«Stavamo ridendo e chiacchierando con gli uomini che qualche ora prima cercavamo di uccidere» scrisse nel rapporto giornaliero il caporale John Ferguson dei Seaforth Highlanders.

Poi, all’improvviso, la sorpresa più bella. Dalle trincee inglesi qualcuno calciò un pallone da football verso i tedeschi, che lo respinsero indietro. Vennero formate le squadre, e pazienza se l’entusiasmo fece dimenticare che il regolamento del calcio prevedeva undici soli giocatori a testa.
La situazione, e forse la storia, imponeva a tutti di scendere in campo, in maniera ben diversa da quanto avveniva da cinque mesi.

Giocarono settanta tedeschi contro cinquanta inglesi e nonostante la netta inferiorità numerica, annotò con orgoglio il “Times” nell’edizione del 1° gennaio 2015, «un reggimento britannico ha sconfitto i tedeschi per 3-2». L’abitudine al gioco degli inglesi, inventori del football diversi decenni prima che il resto del mondo iniziasse a praticarlo, aveva avuto la meglio.

Il giorno seguente, alle 8.30 del mattino, il capitano Stockwell sparò tre colpi in aria dalla propria trincea, poi mostrò una bandiera con la scritta «Buon Natale». Il capitano tedesco apparve dalla sua trincea e replicò con due colpi in aria. Era il segnale. La tregua era finita, la guerra riprendeva.

Sarebbe costata otto milioni e mezzo di morti fra i soldati. E in questo gioco non ha mai vinto nessuno.
L’episodio della “Tregua di Natale”, fu reso ancor più celebre dall’album di Paul McCartneyPipes of Peace” (Cornamuse di pace). Giocare a calcio in uno dei giorni più rappresentativi del mondo cristiano era un rituale già esistente per i britannici.

Nei primi decenni di vita della massima serie inglese si scendeva in campo sia il giorno di Natale che il giorno successivo, Santo Stefano, in modo che due squadre, il più delle volte della stessa città o comunque geograficamente vicine, potessero giocare sia l’andata che il ritorno, un giorno dopo l’altro. Questi “derby locali” natalizi attiravano spesso l’affluenza più alta di pubblico allo stadio.

Tuttavia con il tempo, il calcio nel giorno di Natale perse molto appeal. Calciatori, arbitri, allenatori e dirigenti si opposero all’idea di giocare due giorni consecutivi e almeno il 25 preferivano passarlo con i propri cari, come tutte le famiglie del mondo. Oltretutto c’erano anche problemi di ordine pubblico, soprattutto nei trasporti. Così nel 1958 si decise di abolire la giornata di Natale, lasciando invariata quella del 26: il Boxing Day.

Originariamente questa tradizione aveva solamente un significato sociale che consisteva nel donare scatole contenenti cibo o denaro ai membri meno fortunati della società. Accantonata la condivisione familiare dell’Ottocento, scatole e doni, il Boxing Day è stato assorbito dallo sport.

La First Division, pioniere della Premier League, organizzava il 26 dicembre ogni genere di incontri.

Il primo Boxing Day della storia risale a un match amichevole tra Sheffield FC (il club calcistico più antico del mondo) e l’Hallam FC. La partita si disputò al Sandygate Road, impianto dell’Hallam, considerato tra i più vecchi della storia, aperto nel 1804 come campo da cricket.

Nel 2010, in occasione dei 150 anni da quella partita, il match venne rigiocato sempre nel Boxing Day e ancora una volta fu lo Sheffield a imporsi per 2-1.

Sono tantissimi gli aneddoti di questa giornata tradizionale, come quello del 1970 tra il Derby County di Brian Clough e il Manchester United. A fare da cornice il mitico Baseball Ground, ora demolito, di Derby, per l’occasione un’atmosfera degna di Charles Dickens, ricoperto magicamente dalla neve. Ne esce una partita aspra e dura, chiudendosi con il 4-4 finale condito da una girandola di emozioni.

Il Boxing Day è un culto, un qualcosa dal quale non si prescinde. Mentre tutti stanno fermi, il mondo del calcio inglese va avanti e lo fa pure negli altri sport comuni, come il Rugby e il Cricket.
Non importa, quando cade Santo Stefano tutte le squadre inglesi scendono in campo e secondo gli esperti è anche una giornata decisiva, visto che in molti tracciano un primo quadro della stagione
dopo questa ridda di sfide.

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Paolo Scoglietti

"... E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di Coppa in maggio puoi sempre aspettare il primo turno in gennaio, che male c'è in questo? Anzi è piuttosto confortante, se ci pensi" Osservatore della realtà con un grammo di sogno essenziale, scoperto da quando scrivo di calcio inglese. Amante della sua inimitabile storia e di tutti i suoi bauli pieni di segreti.